mercoledì 14 novembre 2007

Ec-citazioni. Salute!



Nella prima delle sue lezioni americane Calvino si lasciò andare quasi a un pensiero personale. Diceva: "Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l'inerzia, l'opacità del mondo: qualità che s'attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di fuggirle".



Pesantezza, inerzia, opacità: ho riflettuto a lungo su questi tre aggettivi riferiti alla scrittura, soprattutto perchè al corso ci hanno dato da leggere e recensire un testo, come compitino a casa... I tre aggettivi si attagliano perfettamente a quel racconto, che, pur avendo ambizioni letterarie, non ne ha affatto lo spessore nè la cosistenza (altro tema delle lezioni calviniane, quello della sesta, non scritta), ma mi chiedo "Nei miei?".
Quante volte ho lasciato che l'aggettivo facile prendesse il posto di quello calzante? Quante volte non sono stata sufficientemente attenta al ritmo della mia frase, perchè leggendola e rileggendola, sono entrata in un loop rassicurante, capace di generare assopimento, anzichè scompiglio?
Quante volte i miei personaggi si sono dimostrati inerti o opachi?
Sono domande che fanno quasi paura.
Sono domande che, se allargo a certi scrittori moderni, italiani o stranieri, che mi sono passati tra le mani ultimamente, sembrano invadere tutto, come gli eserciti del Risiko...

E sono comunque, e proprio per questo, domande imprescindibili.
Perchè Camilleri mi piace tanto? Ho sempre risposto"Perchè la sua è una lingua viva". Ed è vero. Vero il motivo e vero che è una lingua viva. Che restituisce al parlato la sua essenzialità e la sua icasticità. Questa è la sua forza, prima ancora delle sue trame (a volte deboli, a dir vero).

A proposito di icasticità, ho finito di leggere uno strano libro, perchè pensavo fosse testo teatrale e non lo era. Di certo non è un testo di narrativa. E' una raccolta di appunti, non in bozza, prodotti al termine di un laboratorio che difficilmente si può definire teatrale. Nasce da un'idea di Ascanio Celestini, che definirei il grande, se non fosse che è davvero basso e potrebbe prenderla per ironia.
E invece è un gigante! Perchè va al cuore delle cose, non è il turista che gira per le piazze famose e si siede al caffè più bello della città, ma quello che razzola nei quartieri periferici, aprendo gli occhi e le orecchie e lasciandosi catturare da ciò che vede e sente, volendone sapere di più.
Gigante perchè il suo spettacolo, "Pecore Nere", che ho avuto la fortuna di vedere a marzo all'Ambra Jovinelli, nasce da uno studio durato mesi sulla realtà manicomiale. Nasce da interviste a chi nei manicomi c'è stato, perchè infermiere, medico, ricoverato o parente di un ricoverato. Nasce dall'elaborazione di un ascolto attivo e attento.
Nasce perchè lui decide di non abortire le idee, ma di farle prolificare.
(An passant mi chiedo quanta distanza passi tra quelli come lui e quelli che attaccano briga nel piazzale di un autogrill e poi piangono un morto.
Mi chiedo che differenza c'è tra chi pensa e chi spara. Mi chiedo che vuoto debba essere colmato tra chi fa tesoro del passato e chi sfonda a calci e pugni tutto quello che si trova davanti.
Mi chiedo dov'è la malattia. Nel singolo o nella società?)
Celestini richiamava l'attenzione dei ragazzi che avevano partecipato al laboratorio a produrre testi in prima persona per narrare storie di manicomio e di loro stessi allo stesso tempo. Perchè la persona è importante. Così diceva.
E ricordava loro la necessità di procedere per immagini.
In effetti, leggendo, molte volte ho pensato che l'avessero ascoltato: ho visto le immagini e ho seguito senza difficoltà le associazioni di pensieri e immagini che ne derivavano. E non si trattava di scrittori professionisti!
Quello che ho capito è stato questo: un agglomerato di poche cose può bastare a formare la complessità di un uomo e a restituire al lettore un personaggio non piatto, nè inerte o opaco. Ma vivo, contraddittorio, problematico, il più delle volte irrisolto.
E mi è piaciuto...
Sì, proprio piaciuto.






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