giovedì 15 marzo 2007

Non mi sta bene!!!

Ciao a tutti....
...utti...utti...uttiiiii..... (dentro a 'sto blog passa così poca gente che c'è l'eco!)
dunque scrivo per me.
e scrivo che NON MI STA BENE!
non mi sta bene:
- d'essere trattata male da chi non capisce niente e per niente ti rimprovera,
- che, tornando a casa, mi sento mortificata e piena di malessere perchè mi sento sottopagata, sottostimata, umiliata da questo lavoro da cerebrolesi e da un capo, anche detto "grappa"...
- che vorrei un pò di tempo per me (e per le mie gambe, che gridano "ceretta"!)
- che vorrei poter scrivere di più e meglio. e leggere. belle cose!
- che tutto costa troppo, e non parlo solo di una casa (chimera speranza irraggiungibile colonna d'ercole...), ma di una semplice scatoletta da "acchittare" col decoupage.
- che in macchina devo stare attenta a tutto e tutti, quelli che ti sorpassano a destra, quelli che ti sorpassano a sinistra e pure quelli che ti prendono per il letto di sotto di un letto a castello e ti sorpassano pure da sopra.
- che proprio a me faccia male il fegato.. io che non ho mai bevuto, fumato, nè mi sono mai fatta una canna o altro.
- che tutte le persone cui tengo abbiano vite complicate, liti e lavori "Der Ca". vero, cicci'?
- che trovare un momento per vedere gli amici sia un'impresa titanica (nel senso di Titanic!)
- che... che non mi sta bene che troppe cose nonmi stiano bene...

giovedì 1 marzo 2007

Il volto a metà


Preambolo
Anche i volti raccontano storie. Quelli fortemente connotati, quelli che ti ricordano qualcuno, quelli che “fanno simpatia”. Ma soprattutto - proprio sopra sopra tutto - quelli a metà, cui manca “qualcosa”… che ti sfugge e ti continua a sfuggire, memtre li pensi e li ripensi e intanto inventi…
Il Racconto
Il volto a metà
Ho spento la sigaretta e ho iniziato a disegnare un volto di donna. Un’altra volta. Succede sempre in modo del tutto imprevisto: basta che abbia davanti un foglio bianco e una matita e la mia mano comincia a muoversi in modo autonomo… Parto dall’arco sopraccigliare. Sempre. Lo traccio piuttosto arcuato, ma non troppo, perché non intendo conferire nulla d’ironico allo sguardo che tra un po’ mi guarderà dal foglio. Cerco di rimanere in equilibrio su un sottile filo, che ha qualcosa a che fare con la carezza tenace di un amante innamorato, una carezza decisa e tenera allo stesso tempo. Una carezza come quelle di Claudio… Poi traccio la linea esterna di un occhio. Il destro. Ha forma allungata, ma è un occhio grande, come spalancato a comprendere il mondo. Un occhio un po’ impaurito, forse. O allibito, incerto. Disegno lentamente la palpebra, al di sopra dell’occhio; la scurisco leggermente come a passarvi un sottile filo di trucco: è un’operazione delicata, basta poco e, invece di uno sguardo misterioso, ti ritrovi davanti un orrido insetto zampettante. Devo fare attenzione. Muovo la mano con calma. La matita dev’essere già un po’ arrotondata, sporca. Perdo tempo e penso a quanto questo rimandare somigli al corteggiamento e ai preliminari d’amore. Poi passo a tracciare la circonferenza dell’iride, ma senza colorarla. Resta lì a guardarmi, l’occhio bianco, quasi offeso, istupidito, ma io faccio finta di non vederlo: guardarlo a mia volta mi metterebbe una dolorosa sensazione addosso, che ho già esperito in passato e che per stavolta voglio risparmiarmi. Tempero la matita. Le ciglia sono un particolare del volto che considero un privilegio assoluto regalato da Dio al genere femminile, un particolare che può rendere una donna brutta estremamente interessante e una donna bella molto pericolosa, se quelle ciglia le sa muovere in un certo modo. Per questo i volti che disegno hanno sempre ciglia folte, più corte dove inizia l’occhio, vicino al naso, e lunghe, lunghissime all’estremo opposto, dove l’occhio s’allunga e muore. Traccio brevi ciglia anche nella parte inferiore dell’occhio, a tratti leggerissimi. E, finalmente, torno ad occuparmi dell’iride: al suo centro esatto disegno un cerchio scurissimo, dal quale, a raggiera, si dipartono decise linee che vanno a toccarne la circonferenza. Lascio che la mia mano calchi di più sulla destra e che alleggerisca il tratto spostandosi verso sinistra: è da lì che giunge la luce che va a rischiarare questo sguardo, inondandolo di una consistenza spietata. Ora passo al naso: lungo, diritto; scende allargandosi su una narice sempre difficile da modellare. Ormai però ci ho preso la mano, mi riesce sempre bene, il naso. Più tardi tornerò coi polpastrelli imbrattati ad abbozzare ombre: adesso non è ancora tempo di toccare, di plasmare, è il momento di delineare, di tracciare linee, di sfiorare soltanto. Labbra. Sono carnose. Appena socchiuse. O meglio appena dischiuse. A volte lascio intravedere i denti davanti, quelli di sopra, e un accenno di lingua. Sono labbra sempre molto sensuali, ma non esagerate. Sono rigate, screpolate, illuminate dalla stessa luce che colpisce l’occhio. Oggi, in più, una rughetta sul lato destro rende viva, vissuta, questa bocca leggermente dischiusa. E’ una bocca sporca di un nero effimero di matita, che stendo coi polpastrelli, attenta a non fuoriuscire dal contorno tracciato. Poi passo a ombreggiare il naso, a dare risalto alle guance, a far intuire un mento piuttosto pronunciato. L’insieme risulta decisamente piacevole, anche se manca qualcosa: inutile negarlo. Mancano i contorni. Non riesco mai ad arginarlo, questo volto! Sembra voglia riempire tutta la pagina, chiede spazio e attenzione, con tutti i suoi innumerevoli particolari che gli conferiscono spessore e vita. O almeno una sorta di vita… Lo guardo attentamente: è un viso che dice tutto. Che si dice tutto. A questo punto passo a occuparmi dello sfondo, con le dita impiastricciate di matita. E’ il mio modo d’arginare lo spazio, questo sguardo, questa bocca. Mi chiedo cos’ho – che specie di smania c’è - nelle mani, che mi costringe a toccare, a precisare, a plasmare, come se avessi a che fare con creta, con terracotta, invece che con carta e colore… Allontano il foglio da me, osservandolo attentamente. Di solito, se mi convince lo appendo. Se non lo fa, lo ripongo nella cartelletta dei volti insoddisfacenti. Se lo appendo, torno a soppesarlo spesso. Cerco gli errori, scorgo le somiglianze con i miei volti precedenti, con me stessa. O meglio con la me stessa che mi sento dentro, ma che di certo non sono: io non ho gli occhi così grandi, le mie labbra sono meno carnose; ma la sensualità che tendo ad esprimere, un po’ ingenua e incerta, m’appartiene tutta. O io appartengo a lei. E l’ho scoperto da così poco! Da quando Claudio ha allungato la mano sulle mie cosce e poi è salito su… Da quel giorno mi sento esplosa e implosa allo stesso tempo: esplosa nei desideri, nel corpo, e insieme costretta a un’implosione dovuta non a me, non a lui, ma a tutto il resto. Lui dice che sono ancora una ragazzina, che dobbiamo aspettare. Ma io mi sento una farfalla che ha scoperto d’avere le ali e che non può volare per mancanza di spazio… E la cosa più assurda, tragica e buffa allo stesso tempo, e inspiegabile, assolutamente inspiegabile, è che gli altri non s’accorgono di niente! Neanche i miei genitori, che sono gli unici a vedere questi miei disegni vibranti di me, vibranti di desideri, si rendono conto di quello che mi sta accadendo. Presto gliene parlerò, almeno a mia madre… Spero capisca, spero accetti questo mio crescere in una direzione tanto netta e lampante a questo punto. Spero accetti Claudio, la nostra storia, le nostre scelte. Spero continui ad amar… “Lucaaaa! E’ pronto!” – la voce di mia madre rotola avvicinandosi e ingrandisce quando, con tutta la sua forza, s’appende alla maniglia e apre la porta della mia camera. Mi guarda, guarda le mie mani e il mio disegno che in parte nascondo, in parte svelo. “Certo che sei proprio fissato con tutti questi visi di donna! Almeno ti venissero bene: senza lineamenti, senza capelli, con un occhio solo, mezzo naso e mezza bocca! Ma che vuoi fare concorrenza a Picasso?” Resto in silenzio. “E i tuoi professori dicono pure che sei bravo!” - Sorride con espressione colpevole, ma non m’offendo. Dentro è tutto più complicato di quel che crede lei, più complicato che offendere qualcuno nelle sue ambizioni artistiche. Prendo aria, sto per risponderle, sto per tirare fuori le parole che spiegheranno tutto, sto per apparecchiare in tavola non il pranzo ma la verità, e non so se le sarà tanto facile digerirla. Ma lei richiude la porta e ciabatta via, verso la cucina: “Sbrigati, chè si fredda!”.Io resto lì, con le prime sillabe partorite senza levatrice e una placenta appiccicosa e grassa che mi riempie la gola, facendomi soffocare e impedendomi d’affrontare loro di là, loro di fuori… Resto inebetita, a guardare quest’ultimo mio volto incompiuto, chiedendomi per quanto tempo ancora loro s’ostineranno a vedere soltanto la parte mancante e a ignorare quella parte che grida dal foglio che c’è, che vuole esserci, che vuole…che è. Quella parte che sono. Io.

Le avventure di FdF


Faccia da Foca mi sta accompagnando in Regione. "E' sulla Colombo, vero?" - mi chiede sapendo già la risposta.
"Sì" - rispondo facendo fnta di essere concentrata su altro, ma in realtà la mia mente si sta lasciando andare a comporre l'immagine di quel palazzo fatto a forma di ipsilon, che come una Madonna pietosa sembra stendere le sue braccia per accogliere tutta la Cristoforo Colombo e le altre strade intorno. Ma che immagine poetica, cazzarola!
FdF chiacchiera, non so bene di cosa. Poi, a un certo punto, quel che dice attira la mia attenzione: dice che lei lava i pavimenti di casa sua tutti i giorni.
Dico: “Vabbè, hai il gatto!”.
“Sì, ma pure prima del gatto! Lo ammetto: io sono fissata. Mi fa schifo tutto. Pensa che lavo i piatti uno per uno, mica come quella gente che li mette tutti insieme nel lavandino, prima li insapona tutti e poi li sciacqua. Io li insapono uno per uno e li sciacquo separatamente. Sì, io sono proprio malata!” lo dice con un sorrisetto indulgente, quasi orgoglioso, verso se stessa, mentre io dico “Io faccio così” ancora più orgogliosa di lei.
Sono io quella “gente” sporca che ama i batteri e lava tutti i piatti insieme; e glielo dico pure “Io faccio così!” e intanto penso che ci credo che sta sempre a lavare: se non piace alle foche sguazzare nell’acqua, a chi può piacere?!?!, e poi aggiungo: “Pensa quant’acqua sprechi!”.
“Eh, ma non posso farci niente! – si schermisce lei – Pensa che non mi sono voluta comprare neanche la lavastoviglie, per lo stesso motivo!”
Dico, ma non volevo - lo guiro!: “E quando è giorno di lavatrice che fai? Dividi i tuoi panni e quelli dell’altra persona in due lavatrici separate”?
Ecco, ci siamo arrivate: "l’altra persona" è l’innominato, un orso peloso stronzo fino al midollo.
Lei incassa quella specie di colpo, con un specie di sorrisetto. Penso “Che palle, ‘sta specie di viaggetto! Quando arriviamo?”.
E allo stesso tempo mi viene in mente la mia maestra delle elementari quando, una volta, abbassò il voto del mio temino perchè avevo scritto troppe volte "specie".
Abbasso le ripetizioni! Ma che colpa ne ho io se, da quando lavoro con questa gente, il mio vocabolario si è assottigliato? Pensa quando inizierò a parlare solo coi verbi all'infinito?!

Però quanto mi fa ridere, FdF!!
Crede che non abbia capito cosa stanno combinando lei e l’orso stronzo o muore dalla voglia di dirmelo, di spiattellarlo, invece?
O è restia a parlare perchè ne ha fifa o se ne vergogna?
Perché ha perso tempo e non ha colto la palla al balzo quando in ben due occasioni gliene ho offerto la possibilità. La possibilità d’essere sincera…
Ma è una bugiarda, FdF! Ormai l’ho capito…
E me ne dispiace, lo confesso.
Avevo pensato, quand’è arrivata, che avremmo potuto stringere amicizia, per via dell’età. Siamo quasi coetanee, mentre le altre sono già mogli e madri da un pezzo. Altri problemi, altre priorità, altro stile di vita. Invece FdF vive sola e si veste ostinatamente come una ragazzina di diciotto anni, anche se, francamente, non può proprio permetterselo …
Se la chiamo FdF ci sarà un motivo, no?!
A onore del vero il nome è leggermente riduttivo, perchè non ha solo la faccia gonfia e tonda e un paio di occhi, piccoli e tondi anche loro, che ti fanno chiedere "Dove ha nascosto la palla a spicchi colorati? Quando la tira fuori per farsela volteggiare sul naso?" ha anche le sembianze da foca, la forma! Spalle piccole, pancia che ricade gonfia sul davanti, tette enormi e gambe magre e corte.
Penso che sia un soprannome perfetto quello che le ho affibiato, che mi farebbe meritare un applauso tonante, ma per una sorta di pudore, non ho mai condiviso questa splendida creazione con nessuno - non mi va!
Però “Operazione simpatia” sì, l’ho detto a Fra.
Mi ha chiesto “Perché?”.
“Perché pur di far vedere che ha un lungo seguito di allievi che vogliono fare guide (è un’istruttrice, guida pure il camion, Miss Delicatesse!) con lei e solo con lei, in mancanza di professionalità, acquisita sul campo, passa all’operazione simpatia… Ci si scambia addirittura il numero di cellulare, s’impiccia della loro vita privata, in poche parole si atteggia ad amica con esperienza”.
Beh, un certo tipo di esperienza ce l’ha davvero…
Manuale!
Ops, che screanzata che sono… sdleng sdleng… (e qui subentra una bella imitazione di FdF e delle sue uscite finto ingenuo)!
Fra mi dice: “Ma mi sa che quella non lo fa apposta a essere così, credo sia un po’ mignottella di natura!”.
Non lo so come abbia fatto a capirlo, se l’ha vista solo due volte di sfuggita, ma a quel punto rido e faccio: “A Fra’, sei proprio tremenda!”…… (sdleng sdleng)!