giovedì 1 marzo 2007

Il volto a metà


Preambolo
Anche i volti raccontano storie. Quelli fortemente connotati, quelli che ti ricordano qualcuno, quelli che “fanno simpatia”. Ma soprattutto - proprio sopra sopra tutto - quelli a metà, cui manca “qualcosa”… che ti sfugge e ti continua a sfuggire, memtre li pensi e li ripensi e intanto inventi…
Il Racconto
Il volto a metà
Ho spento la sigaretta e ho iniziato a disegnare un volto di donna. Un’altra volta. Succede sempre in modo del tutto imprevisto: basta che abbia davanti un foglio bianco e una matita e la mia mano comincia a muoversi in modo autonomo… Parto dall’arco sopraccigliare. Sempre. Lo traccio piuttosto arcuato, ma non troppo, perché non intendo conferire nulla d’ironico allo sguardo che tra un po’ mi guarderà dal foglio. Cerco di rimanere in equilibrio su un sottile filo, che ha qualcosa a che fare con la carezza tenace di un amante innamorato, una carezza decisa e tenera allo stesso tempo. Una carezza come quelle di Claudio… Poi traccio la linea esterna di un occhio. Il destro. Ha forma allungata, ma è un occhio grande, come spalancato a comprendere il mondo. Un occhio un po’ impaurito, forse. O allibito, incerto. Disegno lentamente la palpebra, al di sopra dell’occhio; la scurisco leggermente come a passarvi un sottile filo di trucco: è un’operazione delicata, basta poco e, invece di uno sguardo misterioso, ti ritrovi davanti un orrido insetto zampettante. Devo fare attenzione. Muovo la mano con calma. La matita dev’essere già un po’ arrotondata, sporca. Perdo tempo e penso a quanto questo rimandare somigli al corteggiamento e ai preliminari d’amore. Poi passo a tracciare la circonferenza dell’iride, ma senza colorarla. Resta lì a guardarmi, l’occhio bianco, quasi offeso, istupidito, ma io faccio finta di non vederlo: guardarlo a mia volta mi metterebbe una dolorosa sensazione addosso, che ho già esperito in passato e che per stavolta voglio risparmiarmi. Tempero la matita. Le ciglia sono un particolare del volto che considero un privilegio assoluto regalato da Dio al genere femminile, un particolare che può rendere una donna brutta estremamente interessante e una donna bella molto pericolosa, se quelle ciglia le sa muovere in un certo modo. Per questo i volti che disegno hanno sempre ciglia folte, più corte dove inizia l’occhio, vicino al naso, e lunghe, lunghissime all’estremo opposto, dove l’occhio s’allunga e muore. Traccio brevi ciglia anche nella parte inferiore dell’occhio, a tratti leggerissimi. E, finalmente, torno ad occuparmi dell’iride: al suo centro esatto disegno un cerchio scurissimo, dal quale, a raggiera, si dipartono decise linee che vanno a toccarne la circonferenza. Lascio che la mia mano calchi di più sulla destra e che alleggerisca il tratto spostandosi verso sinistra: è da lì che giunge la luce che va a rischiarare questo sguardo, inondandolo di una consistenza spietata. Ora passo al naso: lungo, diritto; scende allargandosi su una narice sempre difficile da modellare. Ormai però ci ho preso la mano, mi riesce sempre bene, il naso. Più tardi tornerò coi polpastrelli imbrattati ad abbozzare ombre: adesso non è ancora tempo di toccare, di plasmare, è il momento di delineare, di tracciare linee, di sfiorare soltanto. Labbra. Sono carnose. Appena socchiuse. O meglio appena dischiuse. A volte lascio intravedere i denti davanti, quelli di sopra, e un accenno di lingua. Sono labbra sempre molto sensuali, ma non esagerate. Sono rigate, screpolate, illuminate dalla stessa luce che colpisce l’occhio. Oggi, in più, una rughetta sul lato destro rende viva, vissuta, questa bocca leggermente dischiusa. E’ una bocca sporca di un nero effimero di matita, che stendo coi polpastrelli, attenta a non fuoriuscire dal contorno tracciato. Poi passo a ombreggiare il naso, a dare risalto alle guance, a far intuire un mento piuttosto pronunciato. L’insieme risulta decisamente piacevole, anche se manca qualcosa: inutile negarlo. Mancano i contorni. Non riesco mai ad arginarlo, questo volto! Sembra voglia riempire tutta la pagina, chiede spazio e attenzione, con tutti i suoi innumerevoli particolari che gli conferiscono spessore e vita. O almeno una sorta di vita… Lo guardo attentamente: è un viso che dice tutto. Che si dice tutto. A questo punto passo a occuparmi dello sfondo, con le dita impiastricciate di matita. E’ il mio modo d’arginare lo spazio, questo sguardo, questa bocca. Mi chiedo cos’ho – che specie di smania c’è - nelle mani, che mi costringe a toccare, a precisare, a plasmare, come se avessi a che fare con creta, con terracotta, invece che con carta e colore… Allontano il foglio da me, osservandolo attentamente. Di solito, se mi convince lo appendo. Se non lo fa, lo ripongo nella cartelletta dei volti insoddisfacenti. Se lo appendo, torno a soppesarlo spesso. Cerco gli errori, scorgo le somiglianze con i miei volti precedenti, con me stessa. O meglio con la me stessa che mi sento dentro, ma che di certo non sono: io non ho gli occhi così grandi, le mie labbra sono meno carnose; ma la sensualità che tendo ad esprimere, un po’ ingenua e incerta, m’appartiene tutta. O io appartengo a lei. E l’ho scoperto da così poco! Da quando Claudio ha allungato la mano sulle mie cosce e poi è salito su… Da quel giorno mi sento esplosa e implosa allo stesso tempo: esplosa nei desideri, nel corpo, e insieme costretta a un’implosione dovuta non a me, non a lui, ma a tutto il resto. Lui dice che sono ancora una ragazzina, che dobbiamo aspettare. Ma io mi sento una farfalla che ha scoperto d’avere le ali e che non può volare per mancanza di spazio… E la cosa più assurda, tragica e buffa allo stesso tempo, e inspiegabile, assolutamente inspiegabile, è che gli altri non s’accorgono di niente! Neanche i miei genitori, che sono gli unici a vedere questi miei disegni vibranti di me, vibranti di desideri, si rendono conto di quello che mi sta accadendo. Presto gliene parlerò, almeno a mia madre… Spero capisca, spero accetti questo mio crescere in una direzione tanto netta e lampante a questo punto. Spero accetti Claudio, la nostra storia, le nostre scelte. Spero continui ad amar… “Lucaaaa! E’ pronto!” – la voce di mia madre rotola avvicinandosi e ingrandisce quando, con tutta la sua forza, s’appende alla maniglia e apre la porta della mia camera. Mi guarda, guarda le mie mani e il mio disegno che in parte nascondo, in parte svelo. “Certo che sei proprio fissato con tutti questi visi di donna! Almeno ti venissero bene: senza lineamenti, senza capelli, con un occhio solo, mezzo naso e mezza bocca! Ma che vuoi fare concorrenza a Picasso?” Resto in silenzio. “E i tuoi professori dicono pure che sei bravo!” - Sorride con espressione colpevole, ma non m’offendo. Dentro è tutto più complicato di quel che crede lei, più complicato che offendere qualcuno nelle sue ambizioni artistiche. Prendo aria, sto per risponderle, sto per tirare fuori le parole che spiegheranno tutto, sto per apparecchiare in tavola non il pranzo ma la verità, e non so se le sarà tanto facile digerirla. Ma lei richiude la porta e ciabatta via, verso la cucina: “Sbrigati, chè si fredda!”.Io resto lì, con le prime sillabe partorite senza levatrice e una placenta appiccicosa e grassa che mi riempie la gola, facendomi soffocare e impedendomi d’affrontare loro di là, loro di fuori… Resto inebetita, a guardare quest’ultimo mio volto incompiuto, chiedendomi per quanto tempo ancora loro s’ostineranno a vedere soltanto la parte mancante e a ignorare quella parte che grida dal foglio che c’è, che vuole esserci, che vuole…che è. Quella parte che sono. Io.

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